È interessante come alcuni film raccontino fatti reali misti a fantascienza, basati su teorie non propriamente corrette, portano con sé un determinato pacchetto di informazioni.
Un esempio è il Film d’azione “Lucy” del 2014 di Luc Besson, che è basato sul mito che l’essere umano utilizza solamente il 10% del suo cervello. Concetto che era già stato affrontato nel Film “Limitless” del 2011 da Neil Burger.
La teoria che l’essere umano non utilizza appieno il proprio cervello è di fatto un vecchio mito, dalle origini incerte. Probabilmente una questione aperta dall’affermazione “stiamo utilizzando solo una piccola parte delle nostre facoltà mentali e fisiche” presenti nel libro del 1908 “The energies of Men” di Williams James professore di filosofia alla Harvard University, nel quale si sofferma anche sul fatto che quando ci si trova in una crisi, dunque al di fuori della propria zona di conforto, si sprigionano energie che prima non erano in azione, dova la crisi è lo stimolo per lo sblocco di un determinato potenziale umano.
Cervello umano e di delfino

Nel Film Lucy, Morgan Freeman interpreta un neurologo che ad un certo punto tiene un discorso dai toni accademici:
Di seguito il testo liberamente tratto dal film “Lucy” di Luc Besson, ed in seguito il link dove è possibile vedere la scena in questione.
…“La vita è cominciata approssimamente un miliardo di anni fa. Abbiamo dovuto aspettare 400 mila anni per assistere alla mutazione delle prime cellule nervose.
Da qui comincia la vita da come la conosciamo. Cervelli e informazione di appena qualche milligrammo. Non è ancora possibile determinare in essi alcun segno di intelligenza. Agiscono più come un riflesso.
Un neurone, allora sei vivo.
Due neuroni, puoi muoverti, e con il movimento cose interessanti cominciano ad accadere.
La vita animale sulla terra risale a milioni di anni fa, ma la maggior parte delle specie usa solo dal 3 al 5% delle sue capacità cerebrali, ma è soltanto quando arriviamo agli esseri umani in cima alla piramide animale, che vediamo finalmente una specie usare maggiormente le sue capacità cerebrali.
Il 10% può sembrare poco ma è tanto se pensiamo cosa abbiamo fatto con esso.
Ora prendiamo un caso specifico. L´unico essere vivente che usa il suo cervello molto meglio di noi.
Il delfino.
Si ritiene che questo incredibile animale usi fino al 20% delle sue capacità cerebrali. In particolare questo gli consente di avvalersi di un sistema di ecolocazione che è più efficace di qualsiasi sonar inventato dall’essere umano.
Ma il delfino non ha inventato il sonar, lo ha sviluppato naturalmente, e questo è il punto cruciale della nostra riflessione filosofica di questa giornata: possiamo dunque concludere che gli umani sono interessati all’ avere più che all’essere?
Per gli esseri primitivi come noi la vita ha un unico solo scopo, guadagnare tempo. E sopravvivere nel tempo sembra anche essere l’unico vero scopo di ciascuna delle cellule dei nostri corpi. Per raggiungere tale obiettivo, la massa di cellule che compone i lombrichi e gli esseri umani ha solo due soluzioni. Essere immortale o riprodursi.
Se l’habitat non è sufficientemente favorevole o nutritivo, la cellula sceglierà l’immortalità, in altre parole l’ autosufficienza e l’autogestione. Al contrario se l’habitat è abbastanza favorevole, allora sceglierà di riprodursi.
In questa maniera, quando muore, trasmetterà informazioni essenziali e conoscenza alla cellula successiva, che le trasmetterà a quella successiva e così via.
Quindi il sapere e l’apprendimento vengono trasmessi nel tempo.”…
Secondo me la misurazione di una percentuale relazionata all’intelligenza e all’uso del cervello, è da ricondurre al meccanicismo, in cui si ha una prospettiva della realtà del mondo fisico basata sulle parti del corpo come fossero parti assemblate, con cui ci si relaziona unicamente con cause e quantità.
Con la conoscenza odierna è possibile distanziarsi da una simile misurazione per entrare in un concetto più semplice e complesso. Quello della coscienza, che è quella parte che la scienza fatica a misurare; si trova al di fuori del proprio spettro.
I limiti della Scienza odierna sono ben spiegati da Rupert Sheldrake nel libro “The Science Delusion”, ma anche in una sua famosa presentazione TED che è ormai da considerare un classico.